Le bioplastiche sono davvero sostenibili? L’Ue le vieta perché sarebbero dannose per l’ambiente. Il contrasto con le norme italiane di recepimento
Le bioplastiche, ovvero un tipo di plastica che può essere biodegradabile, a base biologica o possedere entrambe le caratteristiche, sarebbero dannose per l’ambiente, secondo l’Unione Europea. In Italia invece, sta prendendo sempre più piede l’utilizzo di imballaggi realizzati in bioplastiche.
Ma facciamo un passo indietro per capire meglio.
Cosa si intende per “bioplastiche” (e altri termini sostenibili)
I termini spesso associati all’ambiente, alla raccolta differenziata e alla tutela del pianeta, si prestano a volte a fraintendimenti e, nel mare magnum delle informazioni che circolano, fare confusione è facile. Facciamo dunque un po’ di chiarezza, analizzando tre materiali/termini che sono ormai entrati nel lessico quotidiano di tutti.
- Per “Bioplastiche” si intendono quei materiali e/o manufatti che hanno la caratteristica di essere compostabili e/o biodegradabili e possono avere origine da fonti rinnovabili ( origine vegetale o animale, scarti e sottoprodotti di produzione) ed anche dal fossile (per esempio il petrolio).
- Il “Compostabile” è un materiale che può essere conferito nei rifiuti organici (alias l’umido) perché riesce a trasformarsi in compost, prezioso in campo agricolo/agronomico, sfruttato come naturale fertilizzante. Un packaging è compostabile quando soddisfa tutti i requisiti definiti nella norma tecnica italiana, armonizzata a livello europeo, UNI EN 13432:2002 (clicca qui per leggere il documento integrale)
- Il “Biodegradabile” è quel materiale che ha la capacità di essere degradato naturalmente e alla fine scisso, grazie all’azione enzimatica di microorganismi, in sostanze più semplici quali anidride carbonica, acqua, metano, senza che durante il processo vengano rilasciate sostanze inquinanti. La biodegradazione è un processo naturale pertanto il tempo e le modalità della “trasformazione” sono strettamente dipendenti alle caratteristiche della materia prima e non alla sua natura chimica.
Il processo avviato dall’Ue nel piano di economia circolare per smaltire la plastica
Dopo aver accolto i temi e gli obiettivi dell’Agenda 2030, l’Unione Europea ha varato un piano di azione per l’economia circolare. Tra i vari punti inseriti all’interno del piano strategico rientra anche la filiera industriale della plastica, e quindi le applicazioni nel packaging.
Per ridurre le tonnellate di rifiuti plastici l’Unione Europea incentiva e promuove lo sviluppo di sistemi di riciclaggio, riuso e sostituzione della plastica con altri materiali, anche se non è semplice sostituire la plastica nel food packaging (leggi a proposito cosa ne pensa il Tecnopolo del CNR Bologna).
La problematica delle bioplastiche e il contrasto con le norme italiane di recepimento
In Italia si presenta la problematica relativa alle plastiche a base biologica, compostabili e biodegradabili, rispetto alle quali la Commissione Europa si propone di fornire maggiore chiarezza ai consumatori e all’industria «stabilendo per quali applicazioni tali plastiche sono realmente vantaggiose sul piano ambientale e come dovrebbero essere progettate, smaltite e riciclate» al fine di non aggravare l’inquinamento da plastica, e determinare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità.
La Commissione europea chiarisce il prefisso “bio” induce i consumatori ad avere la percezione che siano sicuramente positive per l’ambiente. Vero, ma solo in parte. Infatti per avere «posto in un futuro sostenibile, devono essere limitate ad applicazioni specifiche per le quali i benefici ambientali e il valore per l’economia circolare siano comprovati».
Le linee guida sulle plastiche monouso
Le Linee guida per l’applicazione della direttiva sulle plastiche monouso emanate dalla Commissione UE a giugno 2021, dicono che «la plastica fabbricata con polimeri naturali modificati o con sostanze di partenza a base organica, fossili o sintetiche non è presente in natura e dovrebbe pertanto rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva. La definizione adottata di plastica dovrebbe pertanto coprire gli articoli in gomma a base polimerica e la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano
derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo».
In sostanza, anche le plastiche biodegradabili/a base biologica sono considerate plastica e rientrano nel divieto ai sensi della direttiva SUP poiché, come chiarito espressamente dalla Commissione UE «attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente».
L’obiettivo Ue: ridurre del 15% i rifiuti plastici (per Stato membro) entro il 2040
L’obiettivo della Commissione Ue è «ridurre i rifiuti di imballaggio pro capite per Stato membro del 15% rispetto al 2018, ed entro il 2040. Ciò porterebbe a una riduzione complessiva dei rifiuti nell’UE del 37% circa, rispetto allo scenario che si prospetterebbe senza una modifica della normativa. Il tutto avverrà attraverso sia il riutilizzo che il riciclaggio. Per gli imballaggi inutili saranno vietati i monouso per cibi e bevande consumati all’interno di ristoranti e caffè, per frutta e verdura, flaconi in miniatura per shampoo e altri prodotti degli hotel».
Secondo Gianfranco Amendola, ex magistrato, esperto in normativa ambientale, e firma de “Il Fatto Quotidiano”, l’Italia avallerebbe l’uso delle bioplastiche non compostabili. «L’Italia – riportiamo da un suo testo – ha dimostrato con chiarezza che per il nostro paese le regole Ue sull’economia circolare valgono solo se “sostenibili” per il nostro mercato».
Clicca qui per leggere il testo integrale della proposta di “REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio”