Produrre energia dai rifiuti.
Potrebbe essere una soluzione vista la crisi energetica che stiamo vivendo: basterebbe costruire i termovalorizzatori, così come più esponenti politici ripetono da tempo ritenendo che questi impianti possano essere da un lato la soluzione alla cronica emergenza rifiuti e dall’altro un aiuto alla carenza di energia.
Ma al contempo ci si chiede: sono sicuri questi impianti? Che effetto possono avere sulla salute dei cittadini, soprattutto di coloro che abitano a ridosso?
Per cercare di capire le ragioni del no e del sì abbiamo voluto ascoltare due differenti opinioni: quella del dott. Tommaso Castronovo, responsabile Rifiuti ed Economia Circolare di Legambiente Sicilia che è contrario e quella dell’ingegnere Giuseppe Mancini, Presidente Associazione nazionale Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio e docente del Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Elettronica e Informatica dell’Università degli Studi di Catania che, invece è a favore.
Ma prima di leggere cosa ci hanno dichiarato, ci sembra opportuno sottolineare cosa è un Termovalorizzatore.
Chiamato anche inceneritore, si tratta di un impianto industriale che elimina rifiuti bruciandoli e con il calore che si produce da questa combustione si riesce a produrre energia. Dunque il termovalorizzatore è un impianto a tutti gli effetti di combustione, composto da un forno, dove si bruciano i rifiuti, da una caldaia, in cui c’è l’acqua poi scaldata con il calore prodotto, e una turbina che viene azionata dal vapore prodotto scaldando l’acqua e che trasforma così l’energia termica in energia elettrica.
In Italia i principali impianti si trovano nel Nord Italia; in Europa Grecia, Cipro, Lettonia, Romania e Bulgaria non lo usano, mentre è moderato l’uso che se ne fa in Slovenia, Malta, Lituania e Croazia; in Svezia, Svizzera, Danimarca e Germania se ne fa un largo uso mentre uno dei più grandi impianti d’Europa si trova nei Paesi Bassi.
E allora, conviene o no costruire i termovalorizzatori? Secondo Tommaso Castronovo, responsabile Rifiuti ed Economia Circolare di Legambiente Sicilia, si tratta di una scelta sbagliata.
Ecco la disamina di Tommaso Castronovo Legambiente Sicilia: «Mentre in Europa si accelera su politiche e strategie che puntano alla riduzione della produzione dei rifiuti e al recupero e riciclo della materia prima seconda, in Sicilia il governo regionale guarda al passato, puntando alla realizzazione di due inceneritori. Si tratta di una scelta sbagliata, di una scelta che va nella direzione opposta non solo rispetto agli obiettivi di riciclo e di decarbonizzazione previsti dall’Unione Europea, ma anche rispetto agli stessi obiettivi previsti dal piano regionale sulla gestione dei rifiuti urbani; tali obiettivi, infatti, prevedono entro il 2030 il raggiungimento dell’80 % di raccolta differenziata e del 90% entro il 2035. Pertanto, tra 8 anni – è questo il tempo che ci vorrà per realizzare gli inceneritori – si tratterà di gestire poco meno di 250.000 tonnellate di rifiuti indifferenziati, e non 900.000 così come si prevede di bruciarne negli inceneritori.
Se verranno realizzati sarà un salasso per le tasche dei siciliani, perché dovranno comunque pagare attraverso la tari ai gestori degli inceneritori oltre 150 milioni di euro all’anno per i successivi 20 anni. In media, la Sicilia si attesta ancora sotto il 50% di raccolta differenziata, ancora ultima tra le regioni italiane.
Ma negli ultimi 4 anni, come nel resto del paese, è stato dimostrato come sia possibile cambiare anche rapidamente alcune logore abitudini alimentate da una cattiva gestione dei servizi e da interessi opachi, come nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Nel 2021 sono già 230 i comuni siciliani – dai capoluoghi di provincia ai piccoli comuni che hanno superato la fatidica soglia del 65% (erano solo 30 nel 2017), e poco più 2 milioni i cittadini siciliani a cui si deve questo importante risultato. La quantità di rifiuti che va a finire ancora in discarica è diminuita di oltre 652 mila tonnellate in questi ultimi 4 anni e, addirittura, di oltre 1 milione ditonnellate rispetto a 10 anni fa. Mentre, dall’altro canto, i più grandi comuni siciliani – Palermo, Catania, Messina e Siracusa – sono i maggiori azionisti delle discariche siciliane, responsabili di oltre il 50% dei rifiuti complessivamenteconferiti. Occorre partire proprio dalle grandi città – Palermo e Catania sono inchiodate sotto il 15% di raccolta differenziata – per un cambiamento radicale nell’approccio culturale, politico e aziendale nella gestione del ciclo dei rifiuti. Un cambio di passo che non può prescindere da un servizio efficiente e puntuale di raccolta dei rifiuti differenziati attraverso il porta a porta, l’applicazione della tariffa puntuale, la realizzazione dei centri del riuso e di riutilizzo e i centri comunali di raccolta degli ingombranti e delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. | ||
Nello stesso tempo, abbiamo bisogno di impianti veramente utili per il riciclo e che vadano nella direzione giusta dell’economia circolare: impianti di biodigestione per gestire l’organico e produrre compost e biogas, impianti di trattamento degli ingombranti, quelli per il recupero dei RAEE e dei tessili,
impianti di riciclo chimico per trattare e recuperare le plastiche dure e quelli per il riciclo dei prodotti assorbenti. Solo questi impianti, e non gli inceneritori, ci faranno uscire definitivamente dall’emergenza e saranno in grado di creare occupazione, sviluppo e benessere per la nostra Regione.
Questa invece la posizione dell’ingegnere Giuseppe Mancini, docente in Ingegneria Chimica per la Sostenibilità dell’Università di Catania e Presidente Nazionale AIAT :
«Oggi è fuorviante parlare ancora inceneritori; come fuorviante è ragionare ancora solo in termini di raccolta differenziata e non di riciclo effettivo e complessivo. Gli inceneritori nascevano nel XIX (con tecnologie anni luce lontane dai moderni termovalorizzatori) per bruciare i rifiuti come unico rimedio, a quell’epoca, per contenere la diffusione delle malattie endemiche, nelle città sommerse dagli scarti di una popolazione in continua crescita. Anche allora dunque, pur avendo sistemi molto meno efficienti di quelli attuali per la rimozione dei contaminanti, questi impianti garantivano comunque un bilancio netto utile per la salute della popolazione. Il progresso tecnologico ha portato quegli impianti a essere oggi i più evoluti, consolidati e sicuri sistemi per il recupero energetico della frazione residuale del rifiuto, quella parte per la quale – qualunque ne sia la quantità (e di quantità parleremo tra poco) – l’alternativa è stata, è tutt’ora, e sarà sempre una: la discarica!!! Perché i processi perfetti al 100% non esistono, perché non tutto è recuperabile, perché non tutto verrà differenziato.
Discarica che è la peggiore delle soluzioni senza se e senza ma: per il terreno, per le falde, per il clima, per la puzza e per la salute della popolazione. Non occorre scomodare la gerarchia europea dei rifiuti per saperlo; basta voler “leggere” la storia di tutte le discariche realizzate in Sicilia (e nel mondo) e la tremenda eredità che hanno lasciato, lasciano e continueranno a lasciare – purtroppo per decenni dopo la loro chiusura – sul territorio e alle generazioni future. Noi piangiamo oggi le scelte fatte (o non fatte) da chi ci ha preceduto 20 anni fa.
Come si può continuare a “enunciare” di poter raggiungere in pochi anni risultati di Raccolta Differenziata (RD) dell’80% e persino del 90% in una regione che nel 2022 è ancora molto ma molto lontana – siamo oggi al 45 circa% – dagli obiettivi di raccolta differenziata fissati ben dieci anni fa quando si sarebbe dovuto raggiungere – per obbligo di legge – il 65% già al 2012 (e non parliamo ancora della qualità del raccolto).
E come ci si può ancor di più illudere che quanto fatto per passare dal 10 al 45% sia uguale (in termini di velocità) al passare dall’attuale 45 attuale al dichiarato 80%??? È come dire che, nel sottoporsi a una dieta in cui occorra perdere 20 chili, perdere i primi dieci chili richieda lo stesso tempo, volontà e sacrifici del perdere i successivi 10. Ma allora perché non prevedere direttamente il 100% di RD già che ci siamo? E allora quanto è ragionevole in un piano regionale dei rifiuti – che dovrebbe guidare le scelte in maniera realistica e organica, efficace e percorribile – prevedere risultati certamente impossibili da raggiungere nei tempi rappresentati?
Si continua poi imperterriti a ragionare sempre e solo in termini di Raccolta Differenziata – attenzione, sacrosanta e da perseguire con tutti i mezzi possibili e immaginabili (e chi dice altro?) – senza però mai parlare dei suoi limiti fisiologici e soprattutto della sua qualità: di cosa c’è veramente dentro quelle tonnellate di materiale raccolto.
Ma ci si rifletta: non si cita mai e dico mai il dato del riciclo effettivo che è invece è quello che conta davvero in economia circolare.
Quanti sono infatti gli scarti (il tanto “trascurato” EER 191212) ottenuti dagli impianti che operano la selezione di quel 45% oggi raccolto in modo differenziato – con non poche difficoltà dagli utenti e dalle società di raccolta – che comunque finiscono in discarica? E soprattutto quanti saranno quegli scarti – che si aggiungeranno al 20% di rifiuto indifferenziato – anche quando la RD sarà “finalmente” l’80%??
Non chiederselo significa non volere affrontare realisticamente il problema nel suo complesso e quindi non volere trovare soluzioni efficaci per chiudere sostenibilmente il ciclo. Vogliamo dare un numero (forse ottimistico) per gli scarti della RD in Sicilia? circa il 20% del raccolto in modo differenziato; Allora se ipotizziamo di applicare questa percentuale (e potrebbe essere più alta) a una altrettanto ottimistica differenziata all’80% otteniamo (20% di 80%) il 16% del totale del rifiuto come scarti della selezione della RD; questi si sommeranno quindi al 20% di indifferenziato (100%- 80% = 20%) per dare un totale (16%+20%) di rifiuto residuale pari al 36%. Rifiuto residuale che quindi – anche quando saremo all’80% di RD – occorrerà ancora saper gestire.
E quanto vale approssimativamente questo 36% da gestire in tonnellate?
Per fare dei conti semplici, su una popolazione di circa 5.000.000 di abitanti con una produzione annua pari a circa 500 Kg anno (mezza tonnellata per abitante all’anno – dato medio italiano) vuol dire per la regione Sicilia circa 900.000 tonnellate. Anche volendo considerare la produzione attuale, inferiore al dato medio e pari a 444 Kg anno (ma attenzione è un dato chiaramente indice di un sottosviluppo che si auspica invece si possa invertire) si perverrebbe comunque a circa 770.000 tonnellate anno. Ma è già norma che al 2035 l’Europa ci multerà (giustamente) se continueremo a portare in discarica – pur avendo potuto evitarlo – più di 215.000 tonnellate, ovvero il 10% del totale prodotto. E perché poi dovremmo smaltire tutte queste tonnellate in discarica se possiamo grazie alla termovalorizzazione ridurle a 75.000 di scorie e anche meno grazie al loro recupero???. Sono calcoli veramente semplici, non penso che non si sappiano fare. Non si vogliono fare.
E mentre aspettiamo di raggiungere queste “auspicate” soglie di RD (80, 90, 100) quella montagna di rifiuti (oggi quasi il 70% di scarti + indifferenziato sul totale prodotto) la continuiamo a mettere nelle pochissime discariche siciliane a 200 € a tonnellata (con una fragilità sistemica senza uguali)? o lo spediamo all’estero a 300 € se la Procura della Repubblica ne chiude una? E questo pur consci che saremo obbligati dal 2035 a non avere più discariche oltre il 10% pena pesanti sanzioni? Ed ecco che ai costi di una gestione problematica si aggiungerà la beffa dovuta a una programmazione miope. Un vero salasso per le amministrazioni e quindi per i cittadini che pagano già la tariffa più alta di Italia grazie a un sistema che a questo ci ha portato. Ecco come i conti NON tornano più.
Figura 1: Proiezione del rifiuto residuale in Sicilia con e senza realizzazione dei termovalorizzatori (calcolo effettuato adottando la stessa progressione nella RD della regione Veneto).
E se invece, come rappresentato in Figura 1, avessimo finalmente anche noi, al 2035, due termovalorizzatori a 130 € a tonnellata (e forse anche meno?) e discariche solo al 3-4%? Si proprio 3-4%. Perché infatti dovremmo pianificare di mantenerle (al 2035) al 10% quando già oggi – proprio grazie agli impianti di recupero energetico – diversi stati europei (Figura 2) e regioni italiane sono ben al di sotto del 5% di discarica (anche attraverso il recupero delle scorie)? Sistemi, i termovalorizzatori – è bene sottolinearlo – che, quando terminano la loro vita, non lasciano in eredità una nuova e problematica “collina” (verde si,… ma verde plastica della copertura transitoria) al territorio e alle sue falde, come avviene oggi per le tante discariche.
I termovalorizzatori oggi nel mondo non solo producono un’enorme quantità di energia che non ha senso seppellire nel terreno (tanto più in piena crisi energetica) ma riducono enormemente il rifiuto residuale (le scorie da combustione sono il 12-15% in massa ma meno di un decimo in volume del rifiuto iniziale), limitando quindi drammaticamente l’esigenza di discarica, dei suoi impatti e delle sue potenziali e frequenti (quanto disattese) esigenze di bonifica – a pochi punti percentuali del rifiuto totale. Peraltro, proprio grazie al recupero certificato di quel 12-15 % di residui, consentono di aumentare il livello complessivo del riciclo (del 5% circa) concorrendo agli ambiziosi obiettivi dell’Unione Europea (65%). E ancora questi moderni sistemi permettono, aspetto troppo sottovalutato, di estrarre e concentrare gli inquinanti – garantendone la necessaria sottrazione dal ciclo dei materiali, che altrimenti ne risulterebbero nel tempo compromessi. È proprio questa una delle funzioni più importanti: non solo si consente a materiali legati tra di loro e difficilmente riciclabili dal punto di vista meccanico e chimico di poter essere avviati a riciclo ma contemporaneamente si separano e si concentrano tutti gli inquinanti presenti nel rifiuto in una massa molto piccola (le ceneri leggere -3-5% del rifiuto trattato) che residua dalla depurazione spinta delle emissioni e che opportunamente stabilizzata con processi oggi consolidati, può essere segregata in modo sostenibile attraverso una discarica ridotta veramente ai minimi termini.
Aspetto energia: un termovalorizzatore che operasse su 2.000.000 di Siciliani (Catania, Siracusa, Enna, Ragusa) con una RD al 70% circa potrebbe arrivare a produrre annualmente fino 450 GWh elettrici e fino a 700 GWh termici con importanti possibilità di simbiosi industriale con altre industrie che richiedono energia termica. Insomma si ottengono rilevanti quantità di energia altrimenti sotterrate nel terreno, si aumenta il riciclo complessivo di materia e se ne garantisce la qualità con bassissime emissioni per unità di massa trattata.
Le emissioni: questa altra bandiera periodicamente sventolata da chi si oppone ai termovalorizzatori – come se nelle più grandi capitali europee e del mondo (Parigi ha 3 termovalorizzatori nel suo abitato, Tokio ne ha 10) ci fossero degli amministratori dissennati che attentano alla salute dei loro concittadini. E nonostante si registrino chiusure di piccoli e vetusti (e quindi oggi meno sostenibili) termovalorizzatori se ne costruiscono sempre di nuovi e sempre più grandi con una crescita costante del recupero energetico rispetto alla discarica. Questo dicono i dati pubblicati.
Oggi dopo il “cavallo di battaglia” largamente abusato delle emissioni inquinanti (mentre delle emissioni della discarica alternative ci si occupa poco o niente se non dopo che la cronaca le evidenzi) e del più recente “contrasto all’economia circolare” (sulla quale spero di avere fatto un minimo di chiarezza in questo articolo) gli ultimi irriducibili hanno adesso sposato la “novità” delle emissioni di CO2 e del conseguente presunto contributo dei termovalorizzatori al cambiamento climatico. Peccato però la scienza abbia ampiamente chiarito che già oggi, per questi sistemi evoluti, si registri un bilancio neutro di CO2 (tra CO2 emessa e CO2 risparmiata per effetto della produzione di energia) ma soprattutto gli stessi siano decisamente avviati a avere addirittura un bilancio negativo di CO2 (quindi positivo per l’ambiente) grazie alla possibilità di recupero della CO2 dalla loro emissione – facilmente captabile perché concentrata. E questo sempre senza trascurare che lo stesso rifiuto residuale, se seppellito in discarica, produce emissioni a effetto serra fino a 10 volte più pesanti.
Continuare a mandare infatti a sotterrare nel terreno quello che non riusciamo compiutamente e sostenibilmente a riciclare (oggi come domani) genera comunque metano anche se il rifiuto è stato precedentemente biostabilizzato. Il metano è un gas a fortissimo impatto climatico che non ha la possibilità di essere efficacemente ed economicamente captato su periodi così lunghi. Senza dimenticare che continuiamo a sottoporre per decenni il territorio e le nostre falde alla produzione di percolato che è tanto maggiore quanto più grande è la superficie che destiniamo alla discarica (dipendendo il percolato dalla pioggia). Percolato per il quale, come le tristi cronache continuamente ricordano in diverse provincie della Sicilia, non sempre si ha la certezza di corretto confinamento, captazione e trattamento. Allora, nelle scelte, l’approccio alla valutazione degli impatti deve essere sempre “comparativo” e non guardare solo a quello dei termovalorizzatori “dimenticandosi” che quel rifiuto – per la sua qualità – va in alternativa in discarica e non agli impianti di riciclo.
Per questo tutto il mondo più evoluto oggi chiude il ciclo accoppiando, in un sano equilibrio, impianti di riciclo di materia a impianti di recupero energetico (sempre Figura 2, vedi paesi europei ambientalmente più evoluti: Germania, Belgio, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia); perché questa – senza il benché minimo dubbio – è la tecnologia più efficace e industrialmente consolidata per il rifiuto residuale. Rifiuto residuale che -attenzione – deve essere il più possibile minimizzato, specialmente nelle regioni del SUD dove tanto c’è da fare (anche su Toscana e Lazio ci sarebbe tanto da dire).
Ma nel frattempo (e non dopo, come erroneamente si sostiene….da anni) ci dobbiamo anche preoccupare di pianificare, per tempo, la corretta gestione di quella che è prevedibile (perché è assolutamente prevedibile) sarà la quantità del nostro rifiuto residuale in ciascuno dei prossimi anni. Questa è la responsabilità che si deve assumere il Governo della Regione se si vuole veramente dare una svolta ed evitare di far continuare a far pagare un carissimo prezzo alle nostre terre, ai nostri amministratori e alle tasche dei siciliani.
I termovalorizzatori sono però una realtà ancora molto lontana per l’isola; probabilmente non verranno mai realizzati in questa regione e si fermeranno in Campania o in Calabria, come la rete ferroviaria ad alta velocità. Il clamore suscitato dalla proposta di due termovalorizzatori (il secondo andrebbe fatto nel palermitano non a Gela) è stato legato più alle esigenze delle passate contese elettorali – che anche da questo hanno tratto alimento -riflettendosi da decenni in uno scontro senza confronto (con un obiettivo “politico” e non certamente ambientale) tra i pro e i contro senza tenere conto della corrente gestione (poco) integrata dei rifiuti e dei reali fabbisogni quotidiani della popolazione presente e futura.
Anche nel caso in cui una Società di quelle che robustamente operano in altre realtà regionali a noi paragonabili (che potremmo serenamente copiare) avesse veramente intenzione di scommettere a livello imprenditoriale sul territorio siciliano, la costruzione dei termovalorizzatori siciliani –che fisicamente richiederebbe non più di tre anni e anche meno (vedi Acerra in Campania), sarebbe però ferocemente avversata dai soliti comitati locali del NO, ben indottrinati da interessi “diversificati”, per far rimanere con picchetti di poche persone inconsapevoli e pretestuosi ricorsi al TAR, tutto o quasi allo status quo nella gestione del rifiuto residuale. Rifiuto residuale che oggi è poco sotto il 70% (e che possiamo solo augurare sia “domani” al 35%) ma che l’Europa non ammetterà in discarica per oltre il 10% costringendoci a mandare, a carissimo prezzo, i nostri rifiuti nei termovalorizzatori che altri hanno avuto la lungimiranza di realizzare per tempo. Dovrà quindi prendere la via del mare, alla faccia del principio dell’autosufficienza regionale, sotto forma di rifiuto speciale e con un aggravio tanto evidente quanto ingente per le tasche dei nostri concittadini (e per l’ambiente). Si continuerà irrealisticamente a far riferimento a un astratto concetto di economia circolare (mentre l’economia circolare vera i conti li chiude), a raccolte differenziate del 90%, al rifiuto che non esiste e che è solo una risorsa (le nostre strade provinciali dicono tutt’altro), a un piano dei rifiuti che non prevede questi impianti esplicitamente, a una irrazionale logica di autosufficienza declinata in ambito provinciale (unica regione a ragionare a questa scala) per una frazione che richiede al contrario una gestione a scala regionale per essere, come in tutte le altre parti del mondo, compiutamente sostenibile. Insomma si continuerà a fare come sempre in Sicilia, regione di grandi trascorsi culturali, che ha dato natali a Pirandello, Verga, Quasimodo. Ma forse sarebbe più completo in chiusura, citare anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che per alcuni continua a essere la lettura preferita.