Con poche ore di ritardo, si è conclusa sabato 13 novembre a Glasgow la conferenza internazionale sul clima Cop26. Non del tutto soddisfatto il suo presidente, Alok Sharma, perché si è passati da phasing out a phasing down, da “eliminazione” a “riduzione” del carbone a livello mondiale. Cina e India infatti hanno reclamato il diritto dei Paesi in via di sviluppo di poter continuare a fare un uso responsabile del carbone richiedendo la loro quota di carbon budget alla pari del resto del mondo. Sulla questione si è espresso Sharma, con le lacrime agli occhi: «Capisco la delusione, ma è vitale proteggere questo pacchetto». D’altra parte, ha sottolineato l’inviato americano per il clima John Kerry, «È la prima volta che si nomina il carbone. Siamo più vicini che mai a evitare il caos climatico».
Mancanze:
Un’altra grave mancanza è l’aiuto ai paesi meno sviluppati per affrontare la crisi climatica. Il documento invita i paesi ricchi a raddoppiare i loro stanziamenti e prevede un nuovo obiettivo di finanza climatica per il 2024. Ma nel testo non è fissata una data per attivare il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno in aiuti per la decarbonizzazione. Una promessa rimasta astratta dall’Accordo di Parigi a oggi. Il documento finale non prevede poi un fondo apposito per ristorare le perdite e i danni del cambiamento climatico nei paesi vulnerabili. Uno strumento chiesto a gran voce a Glasgow dagli stati più poveri. È previsto solo un dialogo per istituirlo.
Riscaldamento a 1,5°C:
Per quanto concerne gli altri argomenti di discussione, la novità più rilevante è i che paesi del mondo puntano adesso a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. L’Accordo di Parigi del 2015 metteva come obiettivo principale i 2 gradi e 1 grado e mezzo come quello ottimale. Con Glasgow, 1,5 gradi diventa l’obiettivo principale e 2 gradi soltanto il Piano B. Anche in questo caso un compromesso rispetto alle alte aspirazioni iniziali.
Decarbonizzazione:
Il documento finale, redatto in 3 bozze, fissa anche l’obiettivo di decarbonizzazione con un taglio del 45% delle emissioni di CO2 entro il 2030 rispetto al 2010 per raggiungere il traguardo zero emissioni nel 2050. A tal proposito oltre 450 aziende, che rappresentano 130.000 miliardi di dollari di asset, hanno aderito alla coalizione GFANZ (Glasgow Financial Alliance for Net Zero), che si impegna a dimezzare le emissioni al 2030 e ad arrivare a zero al 2050. Una trentina di paesi e 11 produttori di auto (non l’Italia) si hanno promesso di vendere solo auto e furgoni a zero emissioni entro il 2035 nei paesi più sviluppati ed entro il 2040 nel resto del mondo. In generale si aspira all’eliminazione tutti i gas serra e i combustibili fossili: tra i traguardi futuri della Cop26 vi è quello di ridurre del 30% le emissioni di metano al 2030 (ma senza Cina, India e Russia). Venticinque paesi (fra i quali l’Italia) hanno deciso di fermare il finanziamento di centrali a carbone all’estero e altri 23 di cominciare a dismettere il carbone per la produzione elettrica.
Dall’Accordo di Parigi alla cop26:
I paesi che non l’abbiano ancora fatto dall’Accordo di Parigi a oggi sono invitati ad aggiornare entro la fine del 2022 i loro Ndc (National Determined Contributions), dando informazioni costanti sul loro percorso di decarbonizzazione. Il reporting format sui risultati del processo è una delle linee guida parigine rimaste ancora inattuate e concretizzate nella Cop26; tra le altre le regolamentazioni del mercato globale delle emissioni di carbonio e delle norme per l’attuazione dell’Accordo di Parigi (Paris Rulebook). Tra gli altri accordi raggiunti, c’è l’inatteso patto tra USA e Cina per la lotta al cambiamento climatico. E ancora un accordo fra 134 paesi (compresi Brasile, Russia e Cina) per fermare la deforestazione al 2030, con uno stanziamento di 19,2 miliardi di dollari.