Nella prospettiva di una definitiva ripartenza dopo i lunghi mesi della crisi sanitaria, nell’urgenza di contrastare la crisi climatica che si fa sempre più aggressiva, l’Italia ha un “jolly” in più da giocare: l’essere un’eccellenza nell’economia circolare, più ancora di Paesi come la Germania e l’Olanda, abitualmente celebrati come i più avanzati quanto a sostenibilità ambientale. Il nostro Paese arranca invece sul fronte dei comportamenti “green”, complemento essenziale per dare sostanza e continuità alla transizione ecologica. È quanto emerge dal Rapporto di Circonomia, il Festival nazionale dell’economia circolare che si è svolto ad Alba. Il Rapporto è stato illustrato dal suo curatore, Duccio Bianchi dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia, e commentato tra gli altri dal sociologo Domenico De Masi, da Francesco Profumo presidente della Compagnia di San Paolo, dalla sindaca di Torino Chiara Appendino.
Gli indicatori
La valutazione contenuta nel Rapporto si basa su 17 indicatori: dal consumo interno di materia procapite e dalla percentuale di rifiuti avviati a riciclo, che vedono l’Italia prima assoluta sui 27 Paesi dell’Unione europea, ai consumi finali di energia in rapporto al Pil e al tasso di rinnovabili sui consumi finali di energia che ci collocano largamente al di sopra della media europea e in testa tra i grandi partner dell’Unione (Germania, Francia, Spagna, Polonia).
Green non vuol dire ricchezza
Nella classifica finale che comprende tutti i 17 indicatori, come detto l’Italia è prima, seguita dall’Olanda, dall’Austria, dalla Danimarca. Come ha spiegato Duccio Bianchi presentando il Rapporto, non c’è una proporzione diretta tra ricchezza di un Paese e sue performance “green”: i Paesi a basso reddito generalmente vanno meglio negli indicatori d’impatto perché consumano meno energia e meno materia (procapite), quelli più ricchi spesso hanno livelli più elevati di efficienza energetica e di buona gestione dei rifiuti. Ma come si vede bene rappresentando graficamente le posizioni di ogni Paese rispetto al reddito procapite e al livello di circolarità, tra le due dimensioni la correlazione è molto parziale: così, per esempio, la Finlandia e il Nord italiano – un Paese e una macroregione tra i più ricchi d‘Europa – quanto ad economia circolare si collocano una in fondo e l’altra in cima alla classifica.
Italia avvantaggiata dal clima mite
Nel caso dell’Italia, le buone prestazioni sul fronte dell’economia circolare nascono da vari fattori. Per una parte dipendono da condizioni oggettive e tradizionali: la nostra “geografia” caratterizzata in prevalenza da un clima mite favorisce più bassi consumi di energia, la nostra strutturale carenza di materie prime (dalle risorse energetiche ai metalli) ha “abituato” da secoli l’economia italiana a ottimizzare l’uso di energia e risorse naturali. Ma, ha sottolineato Bianchi, nel Rapporto si legge che: “Questa eredità è solo una parte della storia: i buoni risultati dell’Italia in tema di economia circolare sono stati costruiti soprattutto nell’ultimo decennio, nonostante la gravissima recessione, attraverso un miglioramento delle prestazioni di consumo e riciclo di materia e di efficientamento e conversione alle rinnovabili del sistema energetico. Così, tra il 2011 e il 2019 la produttività d’uso delle risorse (quindi il rapporto tra Pil e consumo di materia, a prezzi costanti) è migliorato in Italia del 59%, mentre il miglioramento medio della Ue è stato del 31%, quello della Germania del 38% e quello dell’Olanda del 47%. Anche il riciclo di materia dai rifiuti urbani (non la raccolta differenziata, la raccolta avviata a riciclo di materia) ha conosciuto in Italia un rimarchevole incremento, pur essendo decollato circa un decennio dopo quello dei Paesi leader: con il 51,4%, siamo ormai a un passo dai valori di Paesi leader in questo campo come la Germania, il Belgio o l’Olanda. Infine, nell’ultimo decennio (tra il 2010 e il 2019) il tasso di riciclo di materia in Italia è cresciuto di oltre 20 punti percentuali (dal 31% al 51%), mentre la media Ue è cresciuta del 10%, quella dei Paesi più avanzati come l’Olanda e la Germania è cresciuta rispettivamente dell’8% e del 4%, quella di Paesi meno avanzati dell’Italia, come la Francia e la Spagna, è cresciuta rispettivamente del 10% e del 5,5%”.
Su questa brillante “vittoria di tappa” italiana nella corsa all’economia circolare pesano tre grandi ombre. La prima è in un deciso rallentamento in settori-chiave della transizione ecologica, primo fra tutti la produzione e il consumo di energie rinnovabili: l’Italia era al 6,3% di energia pulita sui consumi finali nel 2004, era passata al 17,1% nel 2014 (target europeo del 17% raggiunto con largo anticipo), è rimasta al 18% nel 2019. La Danimarca, che aveva anch’essa raggiunto l’obiettivo europeo nel 2014, da allora è cresciuta nella percentuale di rinnovabili di altri 7 punti. Va ancora peggio per quanto riguarda le rinnovabili elettriche. Nel 2010 la produzione elettrica da nuove rinnovabili – escludendo l’idroelettrico, presenza “storica” e non più incrementabile – era pari all’8%, un valore inferiore alla media europea o a Paesi come la Germania (14%) o la Spagna (18%). Nel 2015, con un grande balzo trainato dal fotovoltaico, l’Italia era arrivata al 23%. E qui si è fermata: 2017, 2018, 2019, sempre il 23% della produzione elettrica.
La seconda ombra deriva da un’evidente contraddizione, peraltro non nuova, tra le brillanti prestazioni ambientali dell’Italia e il persistente declino del Paese sotto il profilo economico e sociale. I dati aggiornati confermano e talvolta rafforzano questa dicotomia, anche per effetto della pandemia che ha avuto in Italia effetti sanitari e sociali tra i più drammatici d’Europa. Tutta l’Italia arretra – talora in assoluto, più spesso in termini relativi rispetto agli altri Paesi – sotto il profilo del reddito, delle condizioni sociali, dei tassi occupazionali, dei divari di genere e generazione. Il Prodotto interno lordo procapite (un indicatore di cui si conoscono i limiti, ma pur sempre importante) dell’Italia nel 2020, a prezzi costanti, era tornato ai livelli del 1995. Così, l’Italia è l’unico Paese europeo, insieme alla Grecia, ad avere un Pil procapite inferiore a quello del 2000, l’unico che nel 2019 (prima della pandemia) non aveva ancora recuperato i livelli precedenti allo shock della “grande depressione” del 2009. In tutti i principali indicatori economici e sociali l’Italia è sotto la media europea, con le regioni del mezzogiorno che rappresentano – per indicatori decisivi come i tassi di occupazione, soprattutto femminile, o la presenza di giovani fuori sia dalla scuola che dal mondo del lavoro, il fanalino di coda dei 27 Paesi europei.
La terza ombra, anch’essa vistosa, riguarda i comportamenti, gli stili di vita e di consumo. Il Rapporto di Circonomia prende in esame 18 indicatori, il quadro che emerge dall’analisi è piuttosto coerente: nel confronto con altri Paesi europei l’Italia, che nell’indice di circolarità primeggia, mostra invece un’assai maggiore lentezza nell’aprirsi a modelli di consumo e stili di vita “circolari”. Nelle nostre case consumiamo più energia (ponderando il dato in base alle condizioni climatiche) della media dei cittadini europei: peggio di noi fanno solo Belgio e Lussemburgo. La penetrazione del solare termico nei consumi domestici è un quarto di quello della Spagna e meno di metà di quello della Germania. Sebbene siamo uno dei principali produttori europei di prodotti alimentari biologici, per consumi bio sia rispetto alla spesa alimentare che per abitante l’Italia è dietro buona parte dei Paesi del nord. Altro capitolo nel quale fatichiamo è quello della mobilità alternativa: da una parte siamo il Paese europeo con il più alto tasso di motorizzazione privata (614 auto/1000 abitanti), dall’altra pur essendo i primi produttori europei di biciclette i ritmi di vendita di bici e e-bike sono ampiamente al di sotto (nel 2020 vendute 3,4 bici ogni 100 abitanti contro le 6,3 della Germania e dell’Olanda). Nell’ambito dei comportamenti “green”, vanno poi sottolineate le profondissime differenze che si registrano tra regione e regione italiana: dai ritmi di diffusione delle energie rinnovabili a quelli di utilizzo dei vari eco-bonus, dall’uso di auto in car-sharing alla raccolta differenziata dei rifiuti, il gap tra Nord e Sud dell’Italia è vistoso e non pare in via di riduzione.