Ese fossero gli ammortizzatori della nostra auto o le vibrazioni prodotte dalla centrifuga della lavatrice, in futuro, a produrre energia pulita?
L’idea di trasformare questi e molti altri dispositivi di uso comune in una fonte di energia a emissioni zero è al centro dell’ingente finanziamento che Unife ha recentemente ricevuto dalla Comunità Europea. L’ambito di ricerca- cosi come spiega Chiara Fazio nel sito dell’Università_rientra nel programma FET-PROACTIVE che finanzia studi per identificare nuovi paradigmi tecnologici ad alto potenziale per la società e l’economia. Un risultato importante, considerando l’altissimo grado di competitività che caratterizza il FET-PROACTIVE: solo il 7,5% dei progetti che concorrono a livello europeo ottengono effettivamente un finanziamento.
Il progetto partirà a gennaio 2021 sotto la guida scientifica di Simone Meloni, professore del Dipartimento di Scienze Chimiche, Farmaceutiche ed Agrarie, che ne spiega il razionale:
«Molti dispositivi che oggi fanno parte della nostra quotidianità – come treni, automobili, aerei ma anche elettrodomestici – disperdono energia sotto forma di vibrazioni.
Disponendo degli strumenti giusti, potremmo recuperare questa energia e l’energia termica dell’ambiente, come accade nelle pompe di calore che usiamo nel riscaldamento domestico, e convertirla in corrente elettrica».
Visto su larga scala, l’approccio può diventare uno strumento molto promettente per ridurre inquinamento e emissioni di gas serra.
Ad esempio, migliorando drasticamente l’autonomia dei veicoli ibridi/elettrici oggi ancora troppo poco performanti” chiarisce il professore.
Ma in che modo l’energia “di scarto” può essere raccolta e trasformata?
Per rispondere a questa domanda il progetto riunisce un team internazionale e multidisciplinare con competenze di fisica, chimica, scienza dei materiali, ingegneria e un partner industriale che si occupa della produzione di ammortizzatori auto.
Il principio è di sfruttare le nanotecnologie, ovvero le caratteristiche chimico-fisiche dei materiali nell’ordine del miliardesimo di metro. Se potessimo osservare molto da vicino, a livello nanoscopico appunto, cosa accade quando una superficie solida dotata di minuscoli pori entra in contatto con un liquido noteremmo che, in presenza di determinate caratteristiche chimiche e geometriche, la superficie rimane asciutta.
Per trasformare simultaneamente l’energia meccanica e termica in elettricità pensiamo di poter combinare due effetti: l’intrusione di liquidi in materiali nanoscopici non bagnabili, che permette di raccogliere energia termica dall’ambiente, e l’effetto triboelettrico, quel fenomeno per cui due corpi sfregandosi si elettrizzano” illustra il professore.
«La sfida è comprendere a fondo i principi scientifici alla base del fenomeno di intrusione in materiali nanoporosi e la triboelettrificazione solido-liquido e, sulla base di questi, mettere a punto nanomateriali porosi triboelettrici. Integrando questi materiali negli apparecchi di uso comune potremmo accumulare sotto forma di elettricità l’energia che oggi si disperde» spiega il professore.
Il team di scienziati studierà questi fenomeni con tecniche teoriche e sperimentali all’avanguardia, come simulazioni atomistiche da principi primi, calorimetria accoppiata a porosimetria ad alta pressione, diffrazione di raggi X e neutroni associate al disegno e sintesi di nuovi materiali di sintesi. Fino ad arrivare allo sviluppo di un prototito di ammortizzatori per auto “autorigeneranti”.
«Sulla base dei dati che abbiamo raccolto dall’Agenzia europea dell’ambiente stimiamo che nel solo settore automobilistico potremmo ridurre il consumo complessivo di elettricità dell’UE dell’1 – 4 % nel 2050» conclude Meloni.