“Nel prossimo quinquennio sarà richiesto dalle imprese il possesso di competenze green da parte di oltre 1,6 milioni di lavoratori (circa il 62% del fabbisogno). E’ una dimostrazione evidente del cambio di paradigma, dall’economia lineare all’economia circolare. Oggi ci cono le condizioni culturali, politiche e governative”.
Lo ha detto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa sul diritto alla riparazione e al riuso e sull’economia circolare quale unica strada percorribile per un futuro sostenibile.
Il ministro ha ricordato che nel 2018, poco dopo il suo insediamento al ministero dell’Ambiente, è stata assegnata al suo dicastero la competenza sull’economia circolare, insieme al ministero dello Sviluppo economico. Inoltre, nel 2020 è stata creata la Direzione generale per l’economia circolare. “Questo va di pari passo – ha osservato – con il quadro Ue, al quale ha fatto riferimento il direttore generale del ministero Laura D’Aprile. Il ddl Fontana dimostra sensibilità in questa direzione”.
Costa ha ricordato che “nell’ambito del regolamento Ue sulla tassonomia, abbiamo costruito gli indici della green finance, tra cui l’indice della circolarità della materia: coloro che vi investono hanno un indice di rischio più basso. Siamo i primi in Europa ad applicare tutto questo in via sperimentale”.
Il ministro ha poi concluso che affermando che “il diritto alla riparazione si fonde con il diritto all’economia circolare. L’aiuto di oggi deve diventare l’ordinario di domani e ciò sarà possibile anche grazie al Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, nel quale è presente una grande fetta di economia circolare”.
A confermare quanto detto dal ministro sul futuro dell’economia è una ricerca condotta da Intermonte e dal Politecnico di Milano su ‘Le strategie di comunicazione delle mid e small cap quotate su Borsa Italiana in ambito Esg’ che ha evidenziato come le imprese che più comunicano in termini di sostenibilità (Esg) sono anche quelle che evidenziano un maggior tasso di crescita tra le società medio-piccole quotate in Piazza Affari. Analizzando un campione di società ‘virtuose’, che divulgano in media il 73,8% delle informazioni Esg rilevanti, è emerso che “hanno avuto una performance del +76,6% (valore mediano), più del triplo rispetto alle blue chip e alle altre small e mid cap“. Secondo la ricerca di Intermonte e del Politecnico di Milano “la quotazione in Borsa è un elemento catalizzatore per incrementare la sensibilità verso le tematiche Esg e incentivare il management a definire obiettivi specifici in tema di sostenibilità, dotandosi di strutture e di sistemi di controllo per la gestione e misurazione dei Kpi”, gli ‘indicatori chiave di prestazione“.