Anche il 2020 si chiude senza tagli ai sussidi alle fonti fossili; nella legge di bilancio presentata dal governo il tema non è previsto, nonostante sia stata istituita quest’anno una “Commissione interministeriale per lo studio e l’elaborazione di proposte per la transizione ecologica e per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi”. Sussidi stimabili, complessivamente, in 35,7 miliardi di euro, di cui oltre 21,8 miliardi sotto forma diretta e circa 13,8 miliardi in forma indiretta.
Parliamo di tutte le misure incentivanti, che intervengono su beni o lavorazioni, per ridurre il costo di utilizzo di fonti fossili o di sfruttamento delle risorse naturali. Il quadro completo delle voci e delle cifre è ricostruito nel nuovo rapporto presentato oggi da Legambiente, per far capire la dimensione e l’importanza delle decisioni da prendere. Larga parte va alle imprese, oltre 23 miliardi, e 12,5 miliardi alle famiglie. La quota più rilevante dei sussidi diretti riguarda il settore dei trasporti, per 11 miliardi; seguono l’energia con 10,6 e l’agricoltura con 0,1.
Il rapporto (che unisce fonti diverse tra cui il Catalogo SAF e SAD, il bilancio dello Stato, dati Terna, Arera, GSE e MISE) analizza il settore energetico ma anche trasporti, agricoltura, canoni ed edilizia. Riporta voci molto differenti – da incentivi diretti e indiretti a sconti sulle tasse, a finanziamenti dati da imprese e società dello Stato – ognuna nata con l’obiettivo, condivisibile, di ridurre i costi a vantaggio di imprese e famiglie, ma è il mezzo che oggi non funziona più: bisogna guardare alle ragioni per cui si confermano sussidi che producono un impatto negativo su ambiente e clima quando esistono alternative competitive.
Alcuni di questi sussidi sono stati addirittura introdotti nel 2020, come il capacity market, che prevede 20 anni di generosissimi incentivi per nuove centrali a gas, giustificati da ragioni di sicurezza del sistema; quando per la flessibilità e la sicurezza del sistema esistono alternative più economiche, efficienti e con ridotte o zero emissioni di gas serra. Il paradosso dei sussidi alle fonti fossili, come sottolineato da Fatih Birol, capo economista dell’International Energy Agency, è che sono oggi il principale ostacolo allo sviluppo delle rinnovabili e di interventi di efficienza energetica che sarebbero competitivi in ogni parte del mondo, ma che invece vedono privilegiare con carbone, gas e petrolio, resi artificialmente economici dagli aiuti pubblici.
“Non esiste scusa legata al Covid che tenga – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – perché l’emergenza climatica sta diventando sempre più grave e perché ogni euro non più regalato a chi inquina può liberare investimenti in innovazione ambientale ma anche per far uscire il Paese dalla crisi economica e sociale. Nelle proposte che presentiamo oggi dimostriamo come sia possibile intervenire subito sui sussidi alle fonti fossili e all’estrazione di materiali naturali, mentre il Recovery Plan italiano dovrà fissare le riforme e la tempistica per cancellare tutti i sussidi entro il 2030”.
Nel 2017 il ministero dell’Ambiente ha presentato il primo “Catalogo dei Sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli”, aggiornato nel 2019; il tema è finalmente nel dibattito politico, ma i risultati finora sono deludenti, con un intervento limitato di adeguamento dei canoni per le estrazioni di fonti fossili e di eliminazione del rimborso accise gasolio per i camion con standard di emissioni euro 3 ed euro 4.
I sussidi ambientalmente dannosi sono finanziamenti diretti a centrali che utilizzano derivati del petrolio, gas e carbone, che inquinano e producono emissioni di gas serra, come le centrali di Brindisi Sud e Fiumesanto o di San Filippo Mela, che rimangono accese solo perché ricevono generosi sussidi, altrimenti in larga parte sarebbero fuori mercato. Oppure centrali diesel nelle isole minori italiane che potrebbero essere sostituite da ben più economici ed efficienti impianti solari ed eolici. Sono sconti su tasse (accisa, iva e credito d’imposta) per una serie enorme di utilizzi di benzina, gasolio, gas, ecc. nei trasporti, nel riscaldamento, nelle industrie. Per chiarezza, di questi sconti beneficiano famiglie e imprese, per cui un semplice taglio avrebbe effetti negativi da un punto di vista economico e sociale, per le famiglie più povere e le imprese più in difficoltà. Ma invece si può e si deve far diventare questi sconti sui consumi, incentivi verso investimenti in efficienza e nell’autoproduzione da rinnovabili, con risultati strutturali in termini di risparmio oltre che vantaggi ambientali. Sono canoni bassi per l’estrazione di materie prime, per l’imbottigliamento di acqua, sono tasse limitate per chi butta i rifiuti riciclabili in discarica. Sono anche finanziamenti ad autostrade, a componentistica, impianti per la fertilizzazione e fondi per la ricerca su carbone, gas e petrolio. In Italia e all’estero.
“Con questo lavoro vogliamo dare il nostro contributo nel dimostrare quanto sia urgente cambiare il sistema di sussidi di cui beneficiano tante attività inquinanti nel nostro Paese – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – Non tutto è cancellabile dall’oggi al domani ma è certo che serve intervenire, partendo dai finanziamenti più assurdi, inquinanti, a premio di rendite contro l’ambiente. I sussidi dannosi sono un macigno sulla possibilità di spingere una innovazione diffusa, nell’interesse del Paese; sono risorse sottratte a investimenti di cui c’è enorme bisogno per uscire dalla crisi: potrebbero andare a ospedali, scuole, ricerca, investimenti nella green economy e nella riduzione delle diseguaglianze. Esistono oggi alternative da fonti rinnovabili meno costose in tanti campi, mentre in altri si dovrebbe promuovere l’efficienza nell’uso dei combustibili invece di fare sconti”.
È stato presentato oggi anche il rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, che rileva ancora un passo indietro per l’Italia, che scende al 27°posto rispetto al 26° dello scorso anno. Risultato dovuto al rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (31°) e a una politica climatica nazionale inadeguata agli obiettivi di Parigi, peraltro non raggiunti da nessun paese: infatti, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 del solo 37%, con una riduzione media annua di appena l’1,7% a partire dal 2020, obiettivo fortemente inadeguato. Rendendo ancora più urgenti i tagli ai sussidi ambientalmente dannosi, di cui seguono i principali numeri per settore del dossier Stop Sussidi e le relative proposte di Legambiente.
Settore energia
Sono 15 i miliardi di euro destinati, nel 2019, a sussidiare il settore energetico fossile del nostro Paese; che diventano 15,8 miliardi per il 2020. Ventisei sussidi diversi, di cui almeno 14 potrebbero essere eliminati subito, per un valore pari a 8,6 miliardi di euro. Sono invece 6,3 i miliardi euro di sussidi che andrebbero rimodulati, in quanto strettamente connessi con settori strategici produttivi o di consumo, come quelli delle isole minori o delle aree geograficamente svantaggiate o ancora la riduzione dell’iva per imprese e utenti domestici. In particolare, le trivellazioni ricevono sussidi indiretti per 576, 54 milioni di euro, dovuti all’inadeguatezza di royalties e canoni. I contributi a centrali fossili e impianti sono costati, nel 2019, ai contribuenti italiani, 1.316,4 milioni di euro; di cui 412,4 milioni di euro sono andati ai cosiddetti “impianti essenziali” su terra ferma e nelle isole minori; 500 milioni di euro di indennizzo sono andati invece agli interconnector, linee elettriche finanziate da soggetti privati. Al Capacity Market nel 2020 vanno 180 milioni di euro di sussidi diretti, mentre il CIP6 continua a ricevere sussidi per 682 milioni all’anno. I prestiti e le garanzie pubbliche (CDP e SACE) per operazioni a sostegno di investimenti nell’Oil&Gas ammontano a 3.756 milioni di euro. Senza dimenticare gli assurdi sussidi che riceve la ricerca su carbone, gas e petrolio.
Settore trasporto
Il settore è sussidiato complessivamente per 16,2 miliardi di euro. Di cui 5.154 milioni di euro per il differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio e 3.757 milioni di euro per quello tra metano, gpl e benzina; l’esenzione dell’accisa sui carburanti per la navigazione aerea ammonta a 1.807,3 milioni di euro; 1.587,5 milioni vanno al rimborso delle accise sul gasolio per trasporti, 400 milioni sussidiano l’olio di palme nei biocarburanti.
Settore agricoltura
Alla PAC vanno sussidi per 2.117,47 milioni di euro. Le esenzioni e riduzioni ai prodotti energetici ammontano a 939,2 milioni. Tra i sussidi indiretti, la SACE eroga prestiti e garanzie per 155,6 milioni per un impianto di fertilizzanti in Russia.
Settore edilizia
Il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali, generalmente associati a elevati consumi energetici ed emissioni, vale 617 milioni di euro. L’esenzione dell’IMU per nuovi fabbricati ammonta a 38,3 milioni di euro, sussidiando il consumo di suolo anziché incentivare le ristrutturazioni.
Settore canoni e concessioni
L’inadeguatezza di concessioni e canoni equivale a un sussidio di 509 milioni, tra acque minerali (262), demanio marittimo (150) e cave (97).
Le richieste di Legambiente al governo
La situazione deve cambiare ora; Legambiente chiede al governo di smettere di fare rinvii su questo tema fondamentale per far uscire l’Italia dalle crisi economica, sociale e ambientale. Il consumo di fonti fossili è non solo la causa dei cambiamenti climatici ma anche dell’inquinamento delle città, con drammatiche conseguenze sulla salute, per l’esposizione al PM2,5, ozono, diossido di azoto che vengono stimate in 60 mila morti all’anno in Italia dall’Agenzia europea dell’ambiente.
Sono tre le scelte da prendere nei prossimi mesi: inserire nel Recovery plan le scelte di cancellazione di tutti i sussidi alle fossili entro il 2030, eliminare subito i sussidi diretti alle fossili e per lo sfruttamento dei beni ambientali e aggiornare il Catalogo dei sussidi, rivedere subito la tassazione sui combustibili fossili per portare trasparenza e legare la fiscalità alle emissioni di gas serra.
- Inserire nel Recovery plan le scelte di cancellazione di tutti i sussidi alle fossili entro il 2030. Il primo intervento da realizzare dovrebbe essere di chiarire la tassazione sui diversi tipi di combustibili fossili e di cancellare tutte le esclusioni dalle accise esistenti, secondo il principio “chi inquina paga” legando la fiscalità alle emissioni di gas serra. Il secondo intervento deve essere di trasformare gli esoneri dalle accise per i consumi di benzina e gasolio nei trasporti, per l’accisa e l’Iva dei consumi di gas nel riscaldamento civile e nell’industria in incentivi a interventi di efficienza energetica per produrre una riduzione dei consumi e autoprodursi l’energia da rinnovabili.
- Eliminare subito i sussidi diretti alle fossili e per lo sfruttamento dei beni ambientali e aggiornare il Catalogo dei sussidi. Il governo deve accelerare i lavori della Commissione del ministero dell’Ambiente istituita lo scorso anno e allargare il campo dei sussidi da tagliare subito, perché non ha senso considerare solo quelli che riguardano i combustibili. Sono ampi quelli di cui beneficia il settore dell’oil&gas, come quelli per i canoni per l’estrazione di materiali, tutti i finanziamenti pubblici attraverso il gruppo SACE, gli essenziali, i fondi per la ricerca su gas, carbone e petrolio. Fuori dal settore energetico, ci sono il trattamento fiscale differente tra benzina e gasolio o le agevolazioni IVA per i prodotti fitosanitari o tutti i canoni agevolati nelle attività di estrazione. Nel nostro dossier individuiamo 13,8 miliardi su cui si può intervenire da qui al 2025. Senza dimenticare di aggiornare il Catalogo dei sussidi inserendo le 13 voci mancanti per un totale di 11,7 miliardi euro
- Rivedere subito la tassazione sui combustibili fossili per portare trasparenza e legare la fiscalità alle emissioni di gas serra. In Italia la tassazione di combustibili e carburanti non è legata alle emissioni di gas serra. L’obiettivo delle politiche energetiche e dei trasporti deve essere di ridurre le emissioni di CO2 prodotte. Per questo la tassazione deve essere legata alle emissioni di carbonio fossile in ogni passaggio fiscale (dalla tassa di proprietà per gli autoveicoli, all’acquisto di combustibili per il trasporto e di fonti per il riscaldamento, ecc.).