Gli obiettivi indicati dal Pniec italiano soddisfano le aspettative della Commissione Ue, che chiede però al nostro Paese una serie di azioni per migliorare e attuare in modo più efficace il Piano energia-clima.
Nella valutazione finale del Pniec, pubblicata ieri nell’ambito del rapporto sull’Unione dell’Energia, Bruxelles formula una serie di raccomandazioni all’Italia, che ricalcano in gran parte quelle già indicate nel giugno 2019 nella valutazione della bozza di Pniec.
In particolare, devono essere semplificati gli iter autorizzativi e per il repowering e revamping delle rinnovabili (soprattutto eolico), sviluppate le energie offshore innovative e migliorato il Superbonus per l’efficienza in edilizia.
Si dovrebbe poi valutare in modo più approfondito l’impatto sui prezzi elettrici del capacity market e del phase-out del carbone.
Inoltre, la Commissione chiede di indicare un “chiaro cronoprogramma” delle riforme e misure previste dal Pniec in merito alla rimozione delle distorsioni di prezzo, alla partecipazione non discriminatoria al mercato dei nuovi entranti e all’eliminazione dei prezzi regolati, “già rinviata varie volte”.
L’esecutivo comunitario si sofferma anche sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dovrà dedicare al clima “un minimo del 37% della spesa”. L’Italia è invitata a considerare investimenti e riforme per promuovere l’efficienza energetica degli edifici, incrementare la produzione di elettricità e gas rinnovabili, sostenere l’economia circolare, rivedere tasse e sovvenzioni per renderle coerenti con la transizione verde tenendo però conto degli aspetti sociali.
Il Pnrr dovrebbe altresì contenere fondi e misure per i trasporti sostenibili, le infrastrutture energetiche e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
In generale, la Penisola dovrebbe fare “il miglior uso possibile dei varie fonti di finanziamento disponibili, combinando un aumento dei fondi pubblici a livello locale, nazionale e Ue e facendo leva su quelli privati”. In questo senso, la Commissione ricorda che per l’Italia sono disponibili nel periodo 2021-2027 fondi Ue per 145 miliardi di euro: 65,5 mld € dalla Recovery and Resilience Facility, 42,1 mld € dai fondi di coesione, 35,1 mld € dalla politica agricola comune, 0,9 mld € dal Just Transition Fund e 1,4 mld € dalle aste Ets. A questi si possono aggiungere i finanziamenti disponibili per tutti gli Stati Ue attraverso strumenti come Innovation Fund (140 mld €), Horizon Europe (91 mld €), InvestEU (9,1 mld €), Connecting Europe Facility (24,1 mld € per i trasporti e 5,8 mld € per l’energia) e Life (5,4 mld €).
Tutti gli investimenti previsti dal Pniec dovranno comunque essere in linea con i piani (locali, regionali e nazionale) per la qualità dell’aria, mentre dovranno essere estesi e aggiornati gli indicatori per i sussidi ambientalmente dannosi, per la valutazione delle iniziative nella ricerca e innovazione e per la sicurezza e diversificazione degli approvvigionamenti.
L’Italia è infine invitata a sfruttare meglio il potenziale del dialogo sull’energia e il clima, coinvolgendo autorità locali, parti sociali, società civile, mondo dell’impresa, investitori e gli altri stakeholder coinvolti.
Accanto alla valutazione finale dei 27 Pniec, la Commissione ha presentato come detto il rapporto sull’Unione dell’Energia che offre un’esaustiva analisi dell’evoluzione dei mercati energetici europei.
Il rapporto, il primo adottato dopo l’approvazione del Green deal, è accompagnato da un’inedita analisi dei sussidi all’energia nella Ue, ammontati nel 2018 a 159 mld € (di cui 50 mld € ai fossili), con una tendenza alla crescita (+5% rispetto al 2015).
Rispetto al Pil, i sussidi vanno dal 3,3% della Lettonia allo 0,2% del Lussemburgo, con la media Ue attestata all’1,2% e l’Italia all’1,6%. Tra i vari Paesi si notano però sensibili differenze in merito alla destinazione dei sussidi. Ad esempio, se in Lettonia la gran parte va alle misure per l’efficienza, in Germania quasi i due terzi sono diretti alle Fer. Viceversa, in Francia, Belgio, Polonia, Grecia, Irlanda e Finlandia la quota maggiore va a i combustibili fossili, che in Italia ricevono invece poco più del 20%.
Dal 2015 al 2018, i sussidi ai fossili hanno registrato l’incremento maggiore in Francia (+27%), mentre sono scesi in Italia (-6%) e Germania (-2%).
Una novità di quest’anno è anche un rapporto sulla competitività delle Fer, che mostrano un andamento migliore rispetto alle fonti convenzionali in termini di valore aggiunto, produttività del lavoro e crescita occupazionale.
Accompagnano poi il rapporto sull’Unione dell’Energia i progress report sull’efficienza, le rinnovabili, il mercato interno delll’energia e i prezzi energetici.