Mentre si avviano a conclusione i lavori parlamentari per la conversione in legge del Dl Semplificazioni, dal CdS arriva una sentenza che offre spunti interessanti sulla questione della Via per gli impianti rinnovabili.
Nello specifico, i giudici di appello hanno ribaltato una sentenza del Tar che aveva annullato la sottoposizione a Valutazione integrata ambientale di un progetto di impianto FV da 5 MW in Umbria presentato dalla società Effedi.
Il Consiglio ha in sostanza sposato la tesi della Regione umbra che nel sottoporre a Via il progetto si è rifatta “ai principi europei di precauzione e prevenzione, quali necessario postulato del giudizio, solo ipotetico, di nocività per l’ambiente sotteso alla procedura di assoggettabilità”. Se è vero che “essi non possono essere intesi nel senso della meccanicistica imposizione della Via ogniqualvolta insorga un – peraltro immotivato – dubbio sulla probabilità di danno all’ambiente”, rimarca il CdS, “la logica di tutela dell’ambiente, e non certo di punizione, sottesa all’assoggettamento a Via, non può non orientare verso la stessa in tutti i casi in cui si ritenga necessario un approfondimento progettuale ben più pregnante della mera integrazione e chiarimento richiedibile in fase di screening”.
Per il Consiglio, infatti, “laddove per fattori obiettivamente esternati se ne ipotizzi la lesività, appare corretto cautelarsi – rectius, più propriamente, cautelare la collettività e quindi, in senso più ampio, l’ambiente – non impedendo la realizzazione dell’intervento, ma semplicemente imponendo l’approfondimento dei suoi esiti finali”. Qualora infatti si aderisse alla tesi opposta, prosegue la sentenza, “ovvero si pretendesse nella fase di screening lo stesso approfondimento di potenziale lesività ambientale che connota la Via vera e propria, non se ne comprenderebbe la reiterazione in tale fase successiva, ridotta sostanzialmente ad un inutile duplicato di quanto già preliminarmente accertato”.
Nello specifico, il CdS rileva che “diversamente da quanto affermato dal Tar” l’atto della Regione “trae fondamento nel parere negativo di ben tre dirigenti di settore” dove “da un lato si stigmatizza l’impatto visivo della progettualità proposta, dall’altro se ne evoca quello ambientale sotto il profilo geologico e geomorfologico ovvero l’estensione in relazione alla presenza nelle vicinanze di centri abitati”.
Per il Consiglio, infine, “nessuna illegittimità può discendere dal fatto, in sé considerato, che la società non sia stata richiesta di fornire chiarimenti e dettagli di carattere tecnico o di altra natura, giacché non risulta che vi siano norme che impongano all’amministrazione pubblica di agire in questo senso”. Dato che “l’omesso preavviso di rigetto ex art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, non è invocabile non solo per i provvedimenti di carattere vincolato, ma anche per quelli connotati ex lege da tratti di assoluta specialità, come pertanto riscontrabile nel caso di specie”.