Provate solo ad immaginare come sarebbe un mondo in cui ogni fotone di luce spedito dal Sole sulla Terra potesse trasformarsi in un elettrone. Tenendo presente che dal Sole alla Terra arriva in un anno quasi 10 mila volte l’energia prodotta dall’uomo. E che gli attuali sistemi di cattura (le celle solari) traducono in elettroni poco più del 10% dei fotoni che li colpiscono. Eppure Aalto University, in Finlandia, ha sviluppato un dispositivo fotovoltaico che ha un’efficienza quantica esterna del 132%.
In altre parole, per ogni fotone che cattura, produce un elettrone, e, una volta su tre, ne produce due. Questa impresa “impossibile” è stata ottenuta sperimentalmente utilizzando silicio nero nanostrutturato e potrebbe rappresentare un importante passo avanti per le celle solari e altri fotorilevatori.
Il silicio nero funziona da materiale attivo, mentre le nanostrutture del suo design, formando una superficie a coni e colonne, ottimizzano l’assorbimento della luce UV. Questo impedisce ogni dispersione di fotoni, che sulle attuali celle solari in larga parte rimbalzano e si dileguano, oppure generano elettroni che si ricombinano in altri atomi. Ogni fotone, così, fa in pieno il suo lavoro: colpendo l’atomo del silicio ne fa uscire un elettrone, e a volte ne fa uscire due.
Il silicio nero assorbe molti più fotoni rispetto ad altri materiali e le nanostrutture del cono e della colonna riducono la ricombinazione elettronica sulla superficie del materiale. Gli strabilianti risultati ottenuti dal team di Aalto sono stati verificati dall’Istituto nazionale di metrologia tedesco, Physikalisch-Technische Bundesanstalt (PTB). La documentazione scientifica è stata accettata per la pubblicazione sulla rivista sulla rivista Physical Review Letters.
Aalto pronta a commercializzarle
La società spin-off della Aalto University ElFys Inc. è già pronta ad avviare la produzione commerciale. La prima applicazione sarà nei sistemi di rilevazione della luceampiamente utilizzati in auto, telefoni cellulari, smartwatch e dispositivi medici. Molto più lunga e incerta è invece la strada che potrebbe portare all’utilizzo della scoperta nella generazione di corrente elettrica da fonti rinnovabili.
«Quando abbiamo visto i risultati, stentavamo a credere ai nostri occhi. Volevamo subito verificare i risultati mediante misurazioni indipendenti», afferma il prof. Hele Savin , capo del gruppo di ricerca di fisica elettronica. «Possiamo raccogliere tutti i portatori di carica moltiplicati senza bisogno di polarizzazione esterna separata poiché il nostro dispositivo nanostrutturato è privo di perdite di ricombinazione e riflessione», aggiunge Savin.